Così l’Italia non regge. I dati ISTAT dicono che l’Italia è tornata in recessione!!!

Pier Carlo Padoan

Oggi si è interrotto un periodo di crescita che durava da 14 trimestri in un contesto di progressivo miglioramento dei conti pubblici e di inizio di riduzione del debito.

L’economia italiana è entrata in recessione tecnica (due trimestri successivi di crescita negativa). Le cause sono sia esterne che interne. Tra le prime il peggioramento del quadro europeo e globale, a sua volta deteriorato in buona parte per l’acuirsi di conflitti geopolitici (USA Cina in primis) e incertezze europee (Brexit, Elezioni del Parlamento Europeo). Ma ci sono anche cause interne.

In particolare il brusco peggioramento del quadro prodotto dalla formazione di una maggioranza giallo-verde. La conseguenza principale è stata un deterioramento delle aspettative di mercati e di imprese, come testimonia sia il rapido, e ripido, aumento dello spread (con conseguenze sulla disponibilità di credito) che il peggioramento del grado di fiducia delle imprese e delle famiglie. A seguito di ciò si è verificato, a partire dall’estate un “arresto improvviso” , un sudden stop degli investimenti che ha coinvolto l’intera economia.

Si è interrotto un periodo di crescita che durava da 14 trimestri in un contesto di progressivo miglioramento dei conti pubblici e di inizio di riduzione del debito. Cercare di attribuire questi fatti alla politica economica dei governi della precedente legislatura è frutto della malafede, o dell’ignoranza, o di ambedue. Ma non è questo il punto.

Il punto è la inesistenza della capacità di reazione alla nuova situazione da parte del governo. Il ministro dell’Economia invita a non drammatizzare facendo intendere che ci troviamo in una fase di arretramento passeggero e quindi bisogna andare avanti senza cambiare.

Ma cosa ci aspetta veramente? Sul fronte della finanza pubblica la recessione peggiora i saldi e peggiora la dinamica del debito. Tutto ciò nella prospettiva di avviare la prossima fase di bilancio, a cominciare dal DEF di aprile, con la necessita di reperire 23 miliardi per disinnescare le clausole di salvaguardia prima di poter anche semplicemente pensare a una nuova manovra. Nel frattempo, esponenti di governo annunciano generosi tagli di tasse a partire dal 2020.

Come tutti sanno i tagli di tasse funzionano se ci sono le coperture, altrimenti non sono credibili. E le coperture non si trovano con più deficit. Ma a prescindere da ciò se non si troveranno i 23 miliardi il deficit è previsto crescere al 3% e oltre.

E sul piano della crescita? Le misure varate con il processo di bilancio sono praticamente mute su questo aspetto. Il reddito di cittadinanza rimane uno strumento complesso e fonte di confusione visto che pretende di risolvere diversi problemi con un solo strumento. Quota 100 avrà l’effetto di accelerare l’uscita dal mercato del lavoro ma è del tutto incerto l’eventuale impatto sulla nuova occupazione.

L’evidenza disponibile dice che l’occupazione giovanile è più bassa dove l’età di pensionamento è anticipata. Le misure fiscali penalizzano le imprese e le banche con un aumento della pressione fiscale e introducendo incentivi alla riduzione della dimensione delle imprese, che avrebbe come conseguenza una riduzione di produttività e un incentivo alla “immersione” nella economia grigia.

Restano gli investimenti pubblici. Giustamente il ministro dell’economia aveva insistito, al momento di entrare in carica, sulla necessita di accelerare gli investimenti, frenati non tanto dalla mancanza di risorse quanto dalla farraginosità delle procedure, dalla carenza di buoni progetti, dalla visione ideologica contro infrastrutture strategiche. Si sono persi mesi a litigare, nella maggioranza, sulle scelte da fare, o nell’intento di costruire nuove strutture preposte alla gestione della macchina degli investimenti. In conclusione gli investimenti non sono ripartiti, né sembra che siano sul punto di farlo.

Da dove dovrebbe venire la crescita allora? Solo da una manovra profondamente diversa. Nel frattempo dobbiamo riflettere sul fatto che, al di là dei preoccupanti dati trimestrali, la direzione che sta prendendo l’economia non è sostenibile, né economicamente né finanziariamente.

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