Gravissimo il bilancio di un naufragio al largo di Tripoli. La linea di Salvini del “più morti se apriamo i porti” smentita dai fatti

Continua la strage silenziosa del Mediterraneo. L’ultima notizia è quella del tragico naufragio avvenuto ieri al largo delle coste della Libia, dove secondo i superstiti sono 117 le persone, tra cui donne e bambini, che hanno perso la vita.

Alla tragedia sono scampati solo in tre – due sudanesi e un gambiano- tratti in salvo grazie all’intervento della Marina militare italiana, che ha avvistato il gommone con un aereo di pattuglia lanciato due zattere gonfiabili.

I sopravvissuti, trasferiti a Lampedusa, hanno riferito all’Organizzazione internazionale per le migrazioni, che li ha sentiti, di essere partiti in 120 giovedì scorso su un gommone. L’imbarcazione, hanno riferito i tre, si è sgonfiata dopo 11 ore di navigazione, con le persone che sono poi cadute in mare, rimanendo in quelle condizioni per varie ore.
Secondo i tre sopravvissuti sul gommone c’erano dieci donne, una delle quali incinta, e due bambini, di cui uno di appena due mesi.

Sempre secondo i sopravvissuti i dispersi in mare provenivano in gran parte da Nigeria, Camerun, Gambia, Costa d’Avorio e Sudan. I tre, sotto choc ma in buone condizioni, hanno raccontato di essere rimasti tre ore in acqua, prima di essere recuperati, assistendo alla tragedia.

Sulla tragedia è intervenuto il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che in una dichiarazione ha espresso “profondo dolore per la tragedia che si è consumata nel Mediterraneo con la morte di oltre cento persone, tra donne, uomini, bambini”.

“Altri 117 migranti morti in un naufragio nel Mediterraneo, nel disinteresse generale. Va bene dirsi europeisti. Va bene lottare per l’Europa. Ma se l’Europa continua a consentire questa strage, l’Europa è già morta“, è stato il commento a quanto accaduto del presidente del PD, Matteo Orfini.

Mentre il ministro dell’Interno Salvini si è fatto vivo ancora una volta con una diretta Facebook, continuando a battere sui suoi cavalli di battaglia dei porti chiusi e dei confini da proteggere, in un linguaggio preso a prestito, non a caso, da quello bellico.

“Il naufragio di ieri è la dimostrazione che se riapri i porti ritornano i morti”, ha detto Salvini. Un ragionamento quantomeno bizzarro, quello del ministro dell’Interno, dal momento che la politica dei porti chiusi, ossia quella attualmente applicata dal suo governo, a quanto pare non ha affatto impedito il verificarsi dell’ennesima tragedia.

Al contrario, semmai, il combinato disposto di porti chiusi e ong additate come parte del problema finisce col tradursi in un clima politico che scoraggia i soccorsi, mettendo a repentaglio, e non di certo al sicuro, le persone in fuga da fame e guerre.

Un ragionamento che nell’Europa governata dalla paura rischia di finire additato come roba da “buonisti” invece di essere considerato per quello che è, ossia parte di un pensiero che, una volta, avremmo definito elementare.

Nel frattempo l’Unhcr ha riferito di un altro naufragio avvenuto nei giorni scorsi, in cui le vittime sono state 53, mentre un rappresentante dell’Oim ha fatto sapere che il conto dei morti solo dall’inizio dell’anno nel Mediterraneo è salito a oltre 200.

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