I 10 punti di Conte sull’immigrazione? Copiati da vecchie risoluzioni. Intervista a Cecile Kyenge

“…Lo scorso novembre il Parlamento ha adottato la modifica al Regolamento di Dublino in cui si parla di un sistema comune di asilo europeo, e che stabilisce il superamento del principio del cosiddetto Paese di “primo approdo”, perché chi arriva in Italia, arriva in Europa. Gli altri due punti fondamentali previsti da questa posizione sono il ricollocamento automatico obbligatorio su tutto il territorio europeo, il vero nervo scoperto, e la condizionalità sui fondi strutturali. Peccato che M5S abbia votato contro e la Lega si sia astenuta…”.

Archiviato il prevertice a 16 di domenica scorsa a Bruxelles, l’attesa è adesso per il delicato vertice di giovedì e venerdì prossimi, dove l’Europa proverà a tirare le somme di una partita, quella dei flussi migratori, che si infiamma ogni giorno di più.
La strategia dell’Italia, tra le strette di mano di Conte all’estero e i diktat di Salvini in patria, sembra essere quella antica del “poliziotto buono-poliziotto cattivo”, ma oltre i proclami, quanto paga questa posizione in termini di risultati concreti, e quanto invece rischia di isolare il nostro Paese?
Ne parliamo con la parlamentare europea del Pd Cecile Kyenge, membro della commissione per le Libertà civili, che in questi anni ha lavorato a Bruxelles soprattutto sui temi dell’immigrazione.

Onorevole Kyenge, l’Italia arriverà al vertice con i dieci punti proposti da Conte, da lui definiti “completamente nuovi”. Ma è davvero così?
Conte ha definito “nuovi” i dieci punti, ma la verità è che il governo italiano rimette sul tavolo esattamente gli stessi contenuti della risoluzione approvata dal Parlamento europeo ad aprile del 2016 su un approccio globale al fenomeno migratorio. Fermandoci solo al primo punto, quello sull’intensificazione degli accordi tra Ue e Paesi terzi, ebbene questo era nella premessa della risoluzione di due anni fa. L’obiettivo principale di quel documento era passare da un approccio emergenziale a un approccio cosiddetto olistico (o globale), che partisse dalle cause profonde dell’immigrazione per arrivare a una strategia di breve, medio e lungo periodo. Dunque di nuovo nella proposta italiana non c’è nulla, anzi è il contrario, perché nel frattempo noi siamo andati oltre. Sentire oggi Conte riproporre quei punti sembra una barzelletta. Per questo dico che come Pd non dobbiamo inseguire nessuno e dire invece le cose come stanno.

Dunque Conte ha copiato? Con quale obiettivo?
Conte ha preso praticamente tutto quello che abbiamo messo in campo in questi anni, ma dov’era fino a oggi? Il punto vero è che è esattamente il contrario di quello che dicono e fanno in Italia. Noi stavamo provando a guardare lontano, invece questo governo sembra privo di una visione. La verità è che quello di Conte sembra quasi un modo per prendere tempo.

Dunque Conte dice una cosa in Europa, mentre Salvini ne fa un’altra. C’è un problema di credibilità per l’Italia?
Non c’è solo un problema di credibilità, ma anche di isolamento, tra l’altro su temi sui quali avevamo costruito solide alleanze, ottenendo molti risultati. Il rischio è che adesso si torni indietro.

Parliamo di Dublino. Il governo propone di rivedere il Regolamento.
In Europa si è aperto un percorso legislativo, anche su Dublino. Lo scorso novembre il Parlamento ha adottato la modifica al Regolamento di Dublino in cui si parla di un sistema comune di asilo europeo, e che stabilisce il superamento del principio del cosiddetto Paese di “primo approdo”, perché chi arriva in Italia, arriva in Europa. Gli altri due punti fondamentali previsti da questa posizione sono il ricollocamento automatico obbligatorio su tutto il territorio europeo, il vero nervo scoperto, e la condizionalità sui fondi strutturali. Peccato che M5S abbia votato contro e la Lega si sia astenuta, forse perché si avvicinavano le elezioni.

Le navi bloccate in mezzo al mare con centinaia di persone a bordo fanno pensare a un’emergenza sbarchi che incombe, ma è davvero così?
L’emergenza c’è stata dal 2013 al 2015, quando l’Italia avrebbe avuto bisogno del supporto dell’Ue. È in quel periodo che abbiamo cominciato a lavorare duro per cambiare l’approccio europeo. Se guardiamo ai numeri, oggi non c’è nessuna emergenza sbarchi, ma c’è una difficoltà ad assorbire chi è già sul territorio. È un punto su cui il governo non dice nulla, preferendo far passare l’idea dell’invasione alimentando le tensioni quotidiane. Se non ci lavoriamo altro che chiusura dei porti, scoppierà una guerra, ma nelle nostre città. Invece è qui la vera sfida, dobbiamo mettere l’accento sull’accoglienza e ragionare su che tipo di integrazione vogliamo, partendo dalle tante buone pratiche che ci sono oggi in Italia.

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